7.
La vendetta è un piatto che va servito sul divano
“Quando hai a che fare con il tuo miglior amico e una vendetta a regola d’arte, tutti i mezzi sono validi e, soprattutto, leciti…”
Avevo atteso quella opportunità per mesi. Intere settimane in cui non avevo fatto altro che osservare ogni sua mossa, soltanto per raccogliere informazioni che mi sarebbero potute tornare utili. Del resto… quando hai a che fare con il tuo miglior amico e una vendetta a regola d’arte, tutti i mezzi sono validi e, soprattutto, leciti.
Tutto ha avuto inizio per colpa sua… anzi, per essere precisi, sua e del caro amico Johnny. Come avrei potuto scordarlo? Il mio grande amico Pat avrebbe dovuto sapere con chi aveva a che fare. Del resto, eravamo amici da quando ne avevo memoria.
Spaparanzato sulla chaise longue, mi grattai l’accenno di barba mentre fingevo di controllare qualcosa sul cellulare. In realtà, da sotto le ciglia, l’osservavo appisolarsi sul divano. Chiudeva gli occhi e, quando pensavo che si fosse lasciato andare tra le braccia di Morfeo, le sue palpebre scattavano e mi guardava con diffidenza, proprio come stava facendo anche in quel momento.
«Cosa?» Gli chiesi con lo sguardo più innocente che riuscivo a simulare.
Le sue palpebre fluttuarono prima di chiudersi. «Che ore sono?» Finì la frase con uno sbadiglio che avrebbe fatto invidia a un orso appena uscito dal letargo.
«Puoi riposare sereno, manca ancora più di un’ora prima che ritornino» lo tranquillizzai senza nemmeno sbirciare l’orologio. Di sicuro la lancetta non doveva essersi mossa più di tanto dall’ultima volta in cui l’avevo guardata, all’incirca trenta secondi prima.
Le nostre ragazze erano uscite insieme nel pomeriggio e, a breve, sarebbero ritornate per andare poi al Buk’s, il nostro bar sport preferito, dove avremmo festeggiato il compleanno di uno dei nostri amici.
Inoltre, il matrimonio di Pat era sempre più vicino e non faceva che ribadire quanto fosse stanco di tutti i preparativi: scegliere i testimoni, partecipare alle prove dell’abito che sembravano non finire mai, ingaggiare i musicisti per la cerimonia, e compilare una lista invitati che cambiava di continuo. Nonostante tutte le sue lamentele, però, ero sicuro che pur di rendere felice Barbara, la sua fidanzata, l’avrebbe fatto altre mille volte. Stravedeva per lei, così come io facevo per sua sorella.
Joyce possedeva tutto ciò che avevo sempre desiderato in una donna: era intelligente, divertente, e con un senso dell’umorismo che poteva competere con il mio. Non era solo la mia ragazza, ma era anche la mia migliore amica e la complice in tutte le mie avventure. La amavo più di quanto avrei mai potuto esprimere a parole, e ogni giorno con lei era una nuova sorpresa. Il modo in cui i suoi occhi si illuminavano ogni volta che mi guardava mi faceva sentire l’uomo più fortunato al mondo. Forse lo ero sul serio.
Ed era proprio per lei che stavo per compiere quell’atto “malefico” nei confronti del fratello. Aveva iniziato lui, era una questione di onore maschile e per niente al mondo mi sarei tirato indietro. La sfida era stata lanciata quel giorno all’aeroporto e non avevo intenzione di lasciar perdere.
«Cazzo, sono stanco morto,» borbottò Pat dopo qualche secondo.
Sospirai sconsolato. È ancora sveglio! «È comprensibile amico, tutti quei preparativi…» aggiunsi mentre annuivo.
Il sarcasmo nella mia voce gli fece aprire un solo occhio per fissarmi di sbieco. «Guarda che ho lavorato come un mulo questa settimana. Mio padre ha acquistato un’altra azienda e la fusione -»
“Aveva iniziato lui, era una questione di onore maschile e per niente al mondo mi sarei tirato indietro”
«Ci credo fratello…» lo interruppi mentre mi stiracchiavo sulla poltrona, prima di allacciare le dita e spostarle dietro la testa «riunioni infinite in ristoranti con stelle Michelin per discutere di fusioni aziendali da milioni di franchi, lavorare cinque giorni alla settimana, dalle otto del mattino alle sei del pomeriggio è davvero pesante.» Avrei voluto vederlo affrontare un turno serale con me alla clinica veterinaria. Soltanto una volta.
Mi ero appena alzato per prendere una birra e rilassarmi quando, mentre spostava l’avambraccio e si copriva il viso, ribatté: «Cinque…»
«Cinque cosa?» Gli domandai mentre aprivo il frigo e prendevo la mia bibita.
«Lavoro dalle otto alle cinque, cretino, non fino alle sei» rispose ridacchiando.
Quella risposta da imbecille gli valse una bella cuscinata in testa. «Taci, coglione, e dormi.»
“Preparati Pat, sto arrivando!“
Mi spostai sulla veranda per bere in santa pace la mia birra e, poco dopo, quando rientrai, mi accorsi che russava piano. Mi serviva proprio in quello stato; sapevo che quando dormiva era sempre in modo profondo. Diamine, una volta era caduto dal divano di casa sua mentre faceva un sonnellino e non si era nemmeno svegliato.
Perfetto! Era ora di mettere in pratica il mio piano.
Come prima cosa, lasciai la bottiglia di birra nel lavandino della cucina e presi lo stabilizzatore per cellulare che avevo acquistato apposta per l’occasione. Dopo aver infilato l’apparecchio nel supporto, lo posizionai sul bancone, nel punto esatto in cui sapevo che avrei ottenuto il filmato di tutta la scena, visto che abitavo in un open space.
Dopodiché, misi a punto gli ultimi preparativi, mentre tenevo d’occhio il mio amico che russava beato sul divano, ignaro degli avvenimenti intorno a lui. Sapevo che non stava fingendo, poiché dormiva con l’avambraccio che gli copriva gli occhi. Quando fui soddisfatto, mi presi qualche istante per prepararmi, ma dovetti sbrigarmi quando mi arrivò un messaggio di Joyce in cui mi diceva che stavano parcheggiando la macchina. Le risposi ricordandole che, prima di entrare in ascensore, doveva far suonare il cellulare di Pat. Avevo detto a lei e a Barbara che volevo fargli una piccola sorpresa dato che mancava poco al suo compleanno. Quello che non sapevano era il tipo di sorpresa che avevo pensato per lui.
Dopodiché, mandai un messaggio ai ragazzi che erano riuniti al Buk’s, e li avvertii che lo spettacolo stava per iniziare. Avevo calcolato tutto sin nei minimi dettagli.
Mi guardai intorno traendo un profondo respiro. Sorrisi mentre mi strofinavo le mani soddisfatto: mesi di preparativi stavano finalmente per dare i loro frutti. Feci partire la chiamata, e quando uno dei ragazzi rispose aggiustai per l’ultima volta il supporto e, dopo un altro respiro, entrai in scena.
«Pat, Pat svegliati» lo chiamai preoccupato.
«Vattene, Yke. Sparisci…» borbottò assonato mentre mi cacciava con la mano che teneva sulla pancia. Stava per girarsi verso lo schienale del divano, ma lo afferrai per una spalla facendolo voltare.
«Guarda, guarda» spostai il braccio che gli copriva gli occhi e gli mostrai lo schermo del suo cellulare, ma appena aprì un occhio, poiché non c’era nulla da vedere, lo infilai in fretta nella tasca dei jeans e mi piazzai davanti a lui. Avevo un’espressione terrificata. «Chi è la signora Wanger?»
«È mia suocera, perché me lo chiedi?» L’altro occhio si aprì, ma era ancora piuttosto intontito.
Ottimo!
«Perché ha appena chiamato dicendo che sta per venire qui!» Guardai verso la porta come se temessi che la potesse spalancare da un momento all’altro, poi mi voltai di nuovo verso di lui che continuava a sbattere le palpebre, provando a scacciare il sonno. Lo scossi con forza prima di lasciarlo andare. «Ha dett-» feci una piccola pausa drammatica come se stessi riprendendo aria, spostai una mano all’altezza del cuore, e mantenni lo sguardo terrorizzato fisso nel suo «Ha detto che non hai rispettato sua fig-»
Non riuscii nemmeno a finire la frase, dovetti spostarmi in fretta poiché si catapultò giù dal divano, il viso sfigurato dal panico. «Ma che cazzo… ahia!» Nell’alzarsi, sbatté lo stinco contro il tavolino, emettendo un gemito soffocato di dolore.
«Non c’è tempo da perdere!» Lo spronai provando a non ridere, mentre saltellava da un lato all’altro della stanza. Dovevo fare in fretta per evitare che si svegliasse del tutto.
“Chi è la signora Wanger?”
«Co- cosa? Ma non ho fat-» continuò a balbettare con uno sguardo smarrito e gli occhi spalancati. Potevo quasi vedere il suo cervello, ancora assonnato, che provava a ingranare la marcia, sputacchiando come una vecchia automobile.
Non gli lasciai nemmeno il tempo di finire la frase. «Devi scappare, amico! Era infuriata!» Presi lo zaino che avevo lasciato da parte e lo misi sulle spalle. Per un istante dovetti trattenermi per non rovinare tutto con una risata di pancia. Il poverino aveva iniziato a muoversi frenetico, come se fosse stato uno scarafaggio colpito dall’insetticida. Si passava la mano libera tra i capelli mentre correva da una parte all’altra del soggiorno con il petto ansante mentre lottava per riprendere fiato, lo sguardo impanicato che saettava tra me e la porta.
Proprio in quel momento il suo cellulare suonò grazie alla chiamata di Joyce. Lo tolsi dalla tasca e guardai lo schermo ingrandendo gli occhi a dismisura e poi aprii la bocca come se fossi preso dal panico, prima di voltarmi verso di lui e chiuderla con uno scatto teatrale. «È lei. Sta arrivando!» Sussurrai terrificato.
Dio, la sua espressione fu impareggiabile. «No! Fammi veder-» Scattò verso di me, occhi spalancati dall’incredulità, le braccia che mulinavano con movimenti davvero ridicoli, ma prima che mi potesse strappare il cellulare dalla mano mi scansai mettendo il tavolino tra di noi. «Non c’è più tempo. Corri, scappa Pat» lo spronai e non potendo resistere aggiunsi: «Ha detto che ti vuole castrare!»
«Co- cosa?» mi chiese di rimando mentre scattava verso la porta, bianco come un lenzuolo, una mano già davanti al cavallo dei jeans, ma non avevo ancora finito. Lo seguii e, passando davanti al bancone, ebbi un’illuminazione e presi un ananas che si trovava nella ciotola con altri tipi di frutta.
«Prendi questo!» Signore e signori, l’Oscar come miglior sceneggiatore va al dottor Yke Engel.
Per un momento mi guardò stranito, ma era così confuso e agitato che afferrò l’ananas e lo strinse al petto con entrambe le mani come se fosse uno scudo mentre aprivo la porta dell’appartamento e lo incitavo a uscire. Solo che, invece che seguirlo, tornai di corsa indietro per prendere il cellulare. Non potevo di certo perdere il gran finale.
Quando arrivai fuori filmando l’intera scena, vidi la porta dell’ascensore aprirsi e Pat, di corsa a metà corridoio, che si fermava di colpo, poi le ragazze che uscivano e lo guardavano.
Gli occhi di Joyce e Barbara si spostarono dai suoi capelli sparati in tutte le direzioni, all’ananas che aveva in mano e poi a me che, ridendo come un pazzo, andavo loro incontro con il cellulare in mano mentre riprendevo il tutto.
«Ehi Pat… fai un saluto ai ragazzi.»
Pat si voltò e mi guardò sbattendo in fretta le palpebre, la bocca aperta in una perfetta “O”, prima di guardare l’ananas che aveva in mano e, infine, le ragazze. «Che diavolo…» balbettò scuotendo la testa, ancora incapace di capire cosa stesse succedendo.
Barbara alzò un sopracciglio, la fronte aggrottata per la confusione. «Tesoro, cosa stai facendo con un ananas in mezzo al corridoio?»
Joyce, che mi conosceva bene, era scoppiata a ridere e si teneva la pancia. «Questo è troppo, Pat! Davvero?»
Lui si girò verso di me, confuso e arrabbiato. «Yke, cosa diavolo stai combinando?»
Mi avvicinai a lui ridendo e gli misi una mano sulla sua spalla. «Pat, amico mio, non potevo lasciarti andare al Buk’s senza farti provare un po’ di adrenalina. Dovresti vedere la tua faccia!»
Voltai la camera del cellulare verso di me, «Non è vero ragazzi?» Ci fu un coro di risate a confermare le mie parole prima che chiudessi la chiamata.
Barbara si avvicinò e lo abbracciò. «Non preoccuparti, amore mio, era solo uno scherzo. Yke è sempre il solito burlone.»
Pat sospirò profondamente e mi lanciò un’occhiataccia da sopra le spalle della sua ragazza. «Yke, un giorno o l’altro mi vendicherò. Guardati le spalle, amico.»
«Adesso siamo pari, ma se vorrai la rivincita, sappi che mi troverai pronto» replicai con un sorriso. «E adesso, perché non andiamo a festeggiare questa meravigliosa performance? Avevo promesso ai ragazzi un grande spettacolo e credo proprio che questo lo sia stato.»
Pat scosse la testa, rise di se stesso, malgrado tutto «Va bene, va bene. Ma la prossima volta, Yke, giuro che sarai tu a correre per il corridoio con un ananas tra le mani.»
«Non vedo l’ora, amico mio» dissi, mettendo un braccio intorno alla vita di Joyce mentre ci avvicinavamo all’ascensore.
Mezz’ora più tardi, quando entrammo al Buk’s, fummo accolti dagli applausi e dalle risate dei ragazzi che avevano seguito tutta la scena in diretta sul gruppo WhatsApp.
«Yke, sei un genio!» Gridò Salvio, dandomi il cinque.
Pat scosse la testa e si sedette al tavolo, ancora un po’ scosso ma ormai divertito. «Sei un idiota, Yke. Un genio, ma un idiota.»
Mentre ci sedevamo insieme agli altri e ordinavamo da bere, il cameriere si avvicinò al nostro tavolo con un sorriso malizioso. «Un cliente ha ordinato questo per te, Pat,» disse, posando un drink dentro un ananas decorato con ombrellini di carta e ciliegie maraschino.
Tutti scoppiarono a ridere mentre Pat guardava prima il frutto e poi me. «Non posso credere che sia davvero successo.»
«Benvenuto nel club degli amici del dottor Yke Engel,» disse Ramon, alzando il bicchiere per un brindisi. «Non ci annoiamo mai!»
La serata continuò tra risate, battute e aneddoti su vecchie bravate. Joyce e i ragazzi si unirono ai nostri racconti, aggiungendo dettagli che noi avevamo dimenticato o, per meglio dire, avevamo preferito non ricordare.
«Ricordate quella volta al campeggio?» Iniziò Salvio con un sorriso furbo. «Quando Yke ha cercato di accendere un falò e ha quasi dato fuoco alla tenda?»
«Oh, quella è stata epica,» risposi ridendo «e poi Pat ha cercato di spegnere il fuoco usando la sua borraccia… peccato che dentro ci fosse della vodka!»
«Non è stata colpa mia!» Protestò subito Pat. «Pensavo fosse acqua! E comunque, chi diavolo è che mette della vodka in una borraccia?»
«Tu, evidentemente» rispose Barbara, ridendo ancora.
«Per non parlare di quella volta al luna park» aggiunse Joyce. «Quando Pat ha pensato che sarebbe stata una buona idea mangiare quattro hot dog prima di salire sullo Spinner…»
«Oh Dio, è per caso quella giostra in cui si gira come pazzi? Come dimenticarlo» proseguì Salvio ridendo. «È diventato verde come una rana e abbiamo dovuto quasi fermare la corsa per farlo scendere!»
«Non sono mai stato così male in vita mia» ammise Pat, scuotendo la testa. «E voi non mi avete aiutato per niente, ridevate troppo per riuscire a fare qualcosa di utile.»
«Beh, qualcuno doveva pur godersi lo spettacolo» dissi strizzandogli l’occhio.
Verso la fine della serata, mentre le risate e le chiacchiere riempivano il locale, mi ritrovai a osservare Joyce. Ogni sguardo che mi rivolgeva e ogni suo sorriso aggiungevano calore alla mia vita, con lei mi sentivo finalmente a casa. Mi chiesi cosa avessi mai fatto per meritarmi una compagna così meravigliosa. Insieme a lei ogni momento era un ricordo prezioso, e il nostro legame diventava ogni giorno più profondo.
Lei, notando il mio sguardo fisso, mi interrogò con un sorrisetto scaltro. «Pensieroso, dottor Engel? Qual è il mistero di oggi?»
La sua voce, sempre così calma e rassicurante, mi fece sorridere. «Stavo solo ammirando quanto sei incredibile, dottoressa Von Flicken. Ogni giorno con te è come scoprire un nuovo capitolo di un libro che non voglio finisca mai.»
Joyce arrossì leggermente mentre faceva scivolare la mano verso la mia sul tavolo. I miei occhi si concentrano sulla sua bocca, nel momento in cui i suoi denti allentarono la pressione sul labbro e il suo sorriso si allargò. Con un movimento aggraziato come lo era lei, si avvicinò per un bacio dolce e prolungato, che catturò l’attenzione di tutti al tavolo.
Scoppiò un’ovazione e Pat, non perdendo occasione per un commento sagace, fece un finto brontolio che suscitò una nuova ondata di risate. «Ehi… un po’ di contegno, è mia sorella.»
Appena ci staccammo mi voltai verso di lui con un sorriso spudorato. «Rilassati Pat, è anche la mia futura moglie.»
Lo sapevo… da sempre. L’avevo desiderata dal primo istante in cui l’avevo vista nella sua camera, e anche se ero troppo piccolo per comprenderlo fino in fondo, il mio cuore sapeva che si trattava della donna giusta per me. Era successo nel momento in cui mi aveva sbattuto la porta in faccia.
La fissai annuendo lentamente, con un sorrisetto che non voleva smorzarsi. Lo sapeva anche lei. Era vero. E non avevo bisogno che mi rispondesse. Non ancora.
Joyce von Flicken, sei la donna della mia vita.
La serata finì con tutti che ridevano, brindando e promettendo novità. Perché con amici come Pat, Johnny e il signor Ananas, ogni giorno era un’avventura… o, almeno, garantiva una bella dose di risate.
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